Il mondo lavorativo odierno richiede una serie di skills, che generalmente vengono distinte in hard, quando oggettivamente misurabili, o soft, quando considerate soggettive. 

É convinzione diffusa che le università, specialmente in Italia, non preparino adeguatamente all’ingresso nel mondo lavorativo, talvolta non fornendo le adeguate skills che permettano al giovane laureato di affrontare l’inizio della propria carriera. Dai più recenti dati Eurostat, effettivamente l’Italia appare nelle ultime posizioni tra le città che europee per occupazione di neolaureati. Al di là di valutazioni oggettive, viene spesso riportato che all’ingresso del mondo del lavoro si debba imparare di nuovo tutto da capo. Proprio l’ingresso nel mondo lavorativo sembra essere un punto carico di interrogativi e insicurezze: in un recente sondaggio proposto proprio da Minders, la paura più rilevante legata all’ingresso nel mondo lavorativo era proprio la percezione di non essere abbastanza preparati. Dove sta il punto di problema?


La differenza tra “essere preparati” e “sentirsi preparati”

In ogni professione è importante essere coscienti della differenza tra una preparazione oggettiva e una soggettiva. In particolare nel mondo della psicologia la seconda sembra essere preponderante: al di là della preparazione teorica, delle votazioni o del lavoro di tesi, essere psicologo implica una posizione di responsabilità, reale o percepita; una serie di capacità attese,  che possono essere misurabili o meno, apprese o innate. Proprio come le skills di cui si parlava in apertura, in psicologia si ha a che fare con una serie di caratteristiche soft delle quali si avvertono la presenza e gli effetti. 

Secondo noi la differenza tra la preparazione oggettiva e la percezione delle propria preparazione è un punto importante per analizzare il problema: non ci riferiamo alle teorie e alle istruzioni pratiche che, seppur fondamentali, possono sempre essere imparate e sulle quali ci si può sempre aggiornare. Le questioni a cui ci riferiamo sono soggettive e, per questo, complesse. 

Abbiamo provato ad analizzare la questione secondo alcuni punti di vista differenti.

In primo luogo, la percezione di essere separati potrebbe avere a che fare con una percezione di merito. In altre parole, all’inizio della nostra carriera lavorativa, potremmo chiederci: meritiamo di essere considerati bravi? Di essere degni di fiducia? Meritiamo, in riferimento a tirocini gratuiti, di essere addirittura pagati per il nostro lavoro? 

All’università potremmo pensare di meritare una buona valutazione, visto tutto lo studio che abbiamo fatto. Nel mondo del lavoro, dove si ha l’impressione di dover partire da capo, la situazione è diversa.

A questo proposito è interessante considerare uno degli ostacoli più comuni nella percezione della propria preparazione sul mondo del lavoro: la sindrome dell’impostore. Secondo le parole delle psicologhe Clance e Imes, che hanno coniato il termine nel 1978, si tratta di una particolare condizione per la quale si ha difficoltà a interiorizzare i propri successi, percependo di non aver meritato un buon successo lavorativo. Anche se non ufficialmente riconosciuta dal DSM, la sindrome dell’impostore è attualmente oggetto di studi nel panorama scientifico. Questa condizione potrebbe portare a una serie di blocchi che potrebbero rendere difficile anche solo iniziare a vedere i primi pazienti. 


Le soft skills

In secondo luogo, torniamo a parlare delle soft skills. Tutti le conosciamo, tutti le abbiamo inserite nel curriculum: forse, converrebbe chiedersi altro. Le capacità di cui si parla sono innate? Possono essere imparate? In altre parole, abbiamo una propensione, a titolo di esempio, all’ascolto empatico o possiamo imparare ad essere dei buoni ascoltatori?

Chiedersi a proposito della natura delle proprie soft skills potrebbe essere un fattore importante per reperire le proprie capacità e la propria preparazione.

A questo proposito, ci è apparsa illuminante una citazione del padre del comportamentismo, B. F. Skinner: «Non dobbiamo insegnare i grandi libri, dobbiamo insegnare l’amore per la lettura. Le abitudini sono apprese e la lettura, che porta molti benefici alle persone, è una buona abitudine». Le parole di Skinner ci sono sembrate importanti perché possono descrivere un’ottima buona abitudine quando si parla di ingresso nel mondo lavorativo: è fondamentale, al di là della conoscenza, al di là dell’effettiva preparazione, costruirsi una serie di buone pratiche per mettere al lavoro le nostre capacità, trovando un’utilità in ciascuna di esse.

A livello teorico suona molto bene: ma nella pratica? Come fare dunque quando si è davanti al dubbio di essere abbastanza preparati?

Il punto è proprio questo: non lasciarti scoraggiare dalla paura valutazioni, dalla possibilità che esista qualcuno più bravo di te o dalla paura di non essere abbastanza pronto; piuttosto, metti al lavoro la tua percezione soggettiva su ciò che significa essere preparati


Alcuni consigli su come mettere al lavoro la nostra percezione di essere preparati

  • Cerca di definire l’ambito rispetto al quale non ti senti abbastanza preparato: rispetto alla teoria di riferimento? Per un confronto con colleghi? Agli occhi di un potenziale paziente?
  • Considera le importanti differenze tra teoria, tecnica e pratica: non sempre una teoria ha una tecnica che può essere applicata in ogni situazione; può essere utile pensare se la percezione di non essere abbastanza preparati si riferisce agli aspetti teorici, alle tecniche o alla loro applicazione pratica.
  • Non avere fretta di diventare il migliore, magari in poco tempo. Si è sempre in tempo per sbagliare e, per fortuna, per migliorare.
  • Sii curioso, soprattutto delle esperienze delle altre persone: sia quelle che condividono il tuo lavoro o il tuo livello di esperienza, sia di quelle che hanno un livello o un campo di esperienza diverso. Lo scambio di idee è il miglior modo per migliorare e sentirsi ispirati.
  • Soprattutto considera la fondamentale differenza tra il saper fare e il saper esser(ci): il modo in cui affronti una situazione clinica, un invio, l’ingresso nel mondo del lavoro, una caduta e un fallimento è molto più importante rispetto a quanto sei preparato a livello teorico in queste situazioni. Ognuno di noi ha modalità differenti di risposta alle situazioni complesse e la cosa migliore da fare, come diceva Skinner, è sperimentare e trovare delle buone pratiche che ci consentano di migliorare sempre di più.

Vuoi sapere quale buona pratica consigliamo? Il confronto e lo scambio di idee tra professionisti, due degli obiettivi per cui è stata fondata Minders. 

18 October 2021
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L'autore

Niccolò Bardini

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