Negli ultimi mesi ho avuto modo di confrontarmi con diversi colleghi che, come me, dopo la laurea magistrale hanno iniziato il famigerato tirocinio post-lauream.

Nei confronti, spesso è emerso un fatto: quasi nessuno si occupa di lavori inerenti (o vicini) a quello per cui abbiamo studiato, soprattutto rispetto all’ambito clinico.

Viste le simili esperienze da tirocinanti, credo sia importante iniziare ad avere il coraggio di ammettere che c’è qualcosa che non va in questo periodo di vita dello psicologo che va sotto il nome di “tirocinio”.

Dal sito della Treccani:

Tirocìnio – periodo di addestramento pratico (…) all’esercizio di un mestiere, di una professione, di un’arte, di un’attività in genere, che viene compiuto da un principiante, da un allievo, o anche da persona già qualificata e fornita della necessaria preparazione teorica, o del prescritto titolo di studio, sotto la guida di persona esperta e nel luogo dove tale attività viene svolta regolarmente”.

Da quanto si evince dalla definizione sopra riportata, il tirocinio dovrebbe essere un periodo in cui si apprende un “mestiere”.

Nel corso degli anni ho sentito colleghi senior affermare che mille ore non sono nemmeno poi così tante e che, una volta finito il tirocinio, non si hanno le competenze per poter iniziare a vedere pazienti, somministrare e correggere test o impostare ricerche (ognuno può inserirvi quello che più interessa e appassiona).

In altre parole, si è punto e a capo e il percorso di laurea, incluso il tirocinio, non ha fornito nulla.  

Ma è davvero così?

No, non è così.

Se ad un tirocinante appassionato e dedito all’impegno venisse data realmente la possibilità di imparare, sbagliare, riprovare, conoscere, aprirsi alle esperienze, risbagliare ancora e poi fare una cosa giusta, non sentirebbe addosso quella frustrazione che deriva dalla consapevolezza di stare facendo cose poco pertinenti rispetto a quanto studiato.

Quello che secondo me emerge è che, in fondo, ci si abilita a fare gli psicologi facendo nella maggior parte dei casi lavori di tipo amministrativo e segretariale non retribuiti.

Questo non fa che aumentare il carico di frustrazione e insicurezza nella “spirale negativa” della carriera dello psicologo di cui si era già parlato su Minders. In altre parole, il rischio è di poi partire nella propria professione con il piede sbagliato e di non riuscire a capire quali sono le proprie carte da giocare nel mondo del lavoro.

Mille ore sono tante

In mille ore un infermiere impara a mettere punti, inserire sondini, medicare ferite e somministrare terapie corrette. Questo non solo perché ha studiato scienze infermieristiche, ma perché ha imparato sul campo a farlo, con qualcuno che di fianco gli insegnava come fare e che gli permetteva, nei limiti delle regole, di imparare un mestiere. E si potrebbero fare tanti altri esempi per n figure professionali.

Perché noi psicologi non possiamo aspirare allo stesso destino?

Va bene, da albo professionale non si possono fare molte cose, ma almeno avere la possibilità di fare “un po’ di più” (es: assistere a colloqui o valutazioni psicologiche) forse può essere un obiettivo perseguibile.

Si sente poi spesso dire: “ma c’è tutta la specializzazione per…”.

E anche qui si sentono storie di psicologi iscritti all’Albo che si trovano ad aspettare di finire la scuola per iniziare a imparare, vedere pazienti, ecc.

È possibile provare a migliorare questa situazione?

Io penso di sì. È necessario però che istituzioni, ordini degli psicologi, aziende, tutor e tirocinanti riescano a trovare una visione e una mission comune. Un qualcosa che vada nella direzione di abilitarsi avendo iniziato ad apprendere una professione.

In Minders non ci occupiamo di politica, ma di crescita professionale e personale.

È proprio per questo che prima di pensare al “macro” credo sia più importante partire dalla singola scelta del tirocinante dell’ambito ed ente in cui si avventurerà nell’esperienza di tirocinio.

Proviamo a mettere nero su bianco qualche consiglio e tips che possa esservi di aiuto.

Consigli pratici per futuri tirocinanti

Conosci te stesso

Cerca di comprendere a fondo che cosa ti interessa e piace della psicologia.

Lasciati ispirare da lezioni, libri, incontri. All’inizio di questo processo conoscitivo non mettere alcun freno.

Circoscrivi

Di quello che ti piace prova a selezionare almeno due/tre possibilità realisticamente perseguibili tra gli enti proposti dall’ordine professionale.

Chiedi feedback

Una volta trovato cosa ti piace e possibili enti, chiedi feedback a più persone possibili su quelli.

Se non conosci nessuno cerca sulla nostra community di Minders tirocinanti che hanno già svolto presso quell’ente il tirocinio e contattali.

Clicca qui per iscriverti se non l’hai ancora fatto.

Guarda con i tuoi occhi

Non ti fidare soltanto dei feedback e della descrizione che appare sul sito web o cose simili.

Se possibile recati presso la struttura e osserva l’ambiente in cui, forse, un domani dovrai passare parecchie ore.

Sempre qui prova a conoscere i futuri colleghi e se riesci chiedi ancora pareri.

Esprimi obiettivi e desideri

Se verrai richiamato da quell’ente a colloquio con il tutor, prova a raccontargli quello che ti appassiona e piacerebbe osservare.

Non avere paura di manifestare le tue aspirazioni e desideri in quanto ognuno di noi necessità di cose diverse.

Non avere paura di sbagliare a posteriori

Hai seguito i punti precedenti, ma ti sembra che quello che ti trovi a fare non sia quello che ti aspettavi?

Non ti abbattere, è qualcosa che nella vita e nel mondo del lavoro succede e probabilmente ricapiterà.

Più volte su Minders si è trattato di temi legati al mindset, crescita personale e professionale.

Partire dalla consapevolezza di aver fatto tutto il possibile per mettersi nelle condizioni di crescere come professionista e persona è già un passo importante verso la realizzazione dei propri obiettivi personali e lavorativi.

7 July 2022
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L'autore

Matteo Cosignani

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